Orioli, Francesco — Archeologo, patriota (Vallerano, 18 mar. 1785 – Roma, 4 nov. 1856).
Figlio del medico condotto Giovanni e di Caterina Valeri, trascorse l’infanzia spostandosi al seguito del padre in diversi paesi del Lazio. Dopo una breve parentesi romana presso gli zii per seguire i corsi al Collegio Romano, si trasferì a casa del nonno materno a Montefiascone, dove fu ammesso da studente esterno al locale seminario. Terminati gli studi filosofici e teologici passò a Roma per seguire i corsi di diritto, che interruppe per dedicarsi all’insegnamento delle scienze naturali al liceo-convitto di Viterbo. In questa città, dove insegnò dal 1804 al 1813, iniziò a coltivare la passione per gli studi storico-archeologici, stringendo rapporti di amicizia col domenicano padre Pio Semeria, appassionato studioso delle antichità viterbesi; O. partecipava inoltre alle riunioni dell’Accademia degli Ardenti della quale divenne membro nel 1810.
In città entrò nel circolo massonico “Telegrafo del Cimino”. Nel 1813 ottenne la cattedra di fisica all’Università di Perugia e vi conseguì contemporaneamente la laurea in medicina. Nel periodo della definitiva caduta napoleonica lasciò Perugia trasferendosi a Castel Giorgio per esercitarvi la professione medica. Dal 1815, quando ottenne la cattedra di Fisica nella facoltà di filosofia dell’Università di Bologna, iniziò per l’O. una fase di grande maturazione sia per la definizione degli orientamenti politici, sia per l’attività scientifica e di studio. Nei quattordici anni di permanenza bolognese, infatti, a contatto con un ambiente accademico più prestigioso rispetto a quello perugino e a una realtà culturale e sociale più eterogenea e sottoposta a maggiori sollecitazioni, entrò in contatto con nuove realtà scientifiche. Con Giuseppe Astoni, nel 1828 pubblicò il primo numero della «Rivista trimestrale delle Arti Agrarie» e si dedicò con particolare fervore a coltivare le passioni manifestate sin dall’adolescenza, approfondendo gli studi archeologici (nel 1829, in riconoscimento della chiara fama raggiunta anche nel settore, fu chiamato per cinque mesi a Roma come membro della Commissione consultiva di Antichità e Belle Arti).
Nell’ateneo bolognese strinse rapporti d’amicizia con il collega Giacomo Tommasini, aderendo all’idea della Nuova dottrina medica italiana da questi sostenuta in nome di una tradizione scientifica nazionale da contrapporre alle scuole straniere e dando vita, con il gruppo di docenti che al Tommasini faceva capo, alla Società medica chirurgica di Bologna. Le reazioni studentesche al regolamento degli studi voluto da Leone XII nel 1824 e la conseguente repressione videro l’O. e il Tommasini sottoposti a procedimento disciplinare: nonostante fosse noto agli inquirenti il suo passato massone, egli fu confermato nell’incarico mentre il Tommasini fu trasferito a Parma. Rimase quindi il più noto tra i professori d’orientamento liberale per gli studenti che, alla rivoluzione del 1831, videro in lui un punto di riferimento; egli stesso, nei ricordi autobiografici, ammise di essere stato allora quasi travolto dalle circostanze.
Membro della commissione nominata dal pro-legato Parracciani Clarelli che divenne poi governo provvisorio della città, fu ministro dell’Istruzione di quello delle Province unite di Marche, Umbria e Romagna, dopo la capitolazione di Ancona tentò di raggiungere Marsiglia. Nonostante gli accordi con il cardinal Benvenuti, l’imbarcazione Isotta sulla quale si trovava con gli altri compromessi nei moti fu intercettata dalla Marina austriaca e scortata a Venezia; per tre mesi O. fu rinchiuso nelle carceri veneziane e liberato grazie all’intervento dell’ambasciatore francese. Costretto all’esilio si stabilì a Parigi; dopo un iniziale periodo di ristrettezze economiche riuscì ad ottenere incarichi dall’Institut royal de France e tenne lezioni di storia e antichità romane e etrusche. Nella capitale francese frequentò il circolo degli esuli italiani (tra i quali si ricorda il Mamiani) e fu assiduo alle riunioni in casa di Cristina Trivulzio di Belgioioso. Collaborò con la rivista “Le Polonais” – fondata e diretta dal conte Stanislao Plater, cui Vieusseux associò il proprio Gabinetto nel luglio 1835 e ne diffuse diverse copie nell’ambiente di Cosimo Ridolfi e Gino Capponi — sulla quale trovò posto il lungo articolo di O., dedicato alla Revolution d’Italie en 1831, che vi comparve diviso in cinque parti tra il 1835 ed il 1836 e che venne fatto circolare in Italia in forma di estratti, secondo una prassi che andava prendendo piede.
In seguito alle tensioni susseguenti ai moti savoiardi del 1834 fu costretto a lasciare la Francia e a trovare altre destinazioni d’esilio. Trascorsi brevi periodi in Inghilterra e poi a Bruxelles, si stabilì a Corfù, dove per dieci anni insegnò Fisica sperimentale all’Università Jonia. Nell’isola, seppure in una situazione di evidente arretramento culturale rispetto agli ambienti parigini, poté dedicarsi pienamente ai suoi studi, che sempre più spaziavano dall’archeologia, alla filosofia, alla meteorologia, all’agronomia. Nel 1844 vi fondò un periodico stampato per i tipi del governo, «Spighe e paglie», attraverso il quale dava comunicazione dei suoi studi nelle diverse discipline. Non trascurò comunque l’impegno scientifico; grazie ad autorizzazioni temporanee di soggiorno nelle città italiane che li ospitavano partecipò ai Congressi degli scienziati italiani, cui egli stesso attribuiva una forte valenza politica oltre che scientifica. Tornò a Roma nel 1846 usufruendo dell’editto del perdono di Pio IX sollecitato in suo favore da un gruppo di eminenti studiosi tra cui Vieusseux, Capponi e Luigi Bonaparte. Riprese sia l’attività d’insegnamento – gli venne, infatti, assegnata la cattedra di Archeologia e storia antica all’Archiginnasio romano – che la vita politica schierandosi su posizioni di moderato riformismo improntato su un’istanza fortemente conciliatrice. Nel 1847, con Paolo Mazio e Andrea Cattabeni, fondò il giornale «La Bilancia», del quale fu redattore fino alla chiusura nel marzo successivo e dalle cui colonne sosteneva il timido programma di riforme attuato dal governo pontificio.
Candidato al Consiglio dei deputati per il collegio di Viterbo, risultò eletto nelle elezioni del 19-20 maggio 1848; pochi giorni prima, il pontefice lo aveva chiamato a far parte del Consiglio di Stato istituito il 13 maggio. Le divergenze con l’elettorato viterbese e con gli stessi colleghi (dall’una e dall’altra parte venivano aspre critiche sull’immobilismo a cui la sua linea politica di fatto portava nella ricerca di una conciliazione) e i contrasti con il Mamiani stesso ne determinarono nel luglio successivo le dimissioni dall’incarico di deputato. Rieletto alle elezioni di novembre, non accettò l’incarico. Spettatore estraneo dell’epopea della Repubblica Romana, O. tornò a manifestare interesse per la problematica politica nel 1850 quando pubblicò a Roma, per la Tip. Belle Arti, gli Opuscoli politici, fortemente improntati al conservatorismo in difesa dello stato teocratico e legati ad una visione elitaria del processo di rinnovamento politico. Ormai su posizioni sempre più conservatrici, nel 1851 fu chiamato da Pio IX a far parte del secondo Consiglio di Stato. Membro del collegio filosofico della Sapienza, dove insegnava archeologia, fu accademico onorario dell’Accademia romana di archeologia e accademico ordinario dell’Accademia delle scienze detta de’ nuovi Lincei. Collaborò inoltre con il «Giornale arcadico» e con «l’Album», sui quali pubblicò a partire dal 1850 i risultati delle sue ricerche archeologiche nei territori del Lazio. Ascritto al patriziato viterbese nel 1851, dedicò gli ultimi anni allo studio e alla pubblicazione di ricerche archeologiche e storiche sulla città e il suo territorio. Frutto di escursioni compiute nel viterbese fu il volume Viterbo e il suo territorio (Roma 1849) e sue sono le prime segnalazioni della necropoli di Musarna, Nelle sue lezioni propugnava il metodo dell’utilizzazione delle fonti epigrafiche e monumentali come mezzo di ricostruzione dei fatti storico-culturali, in sintonia con le posizioni più avanzate delle discipline storiche dell’epoca. A Viterbo un istituto di istruzione superiore porta il suo nome.
Un anno dopo la sua morte, la ricca biblioteca andò dispersa in una vendita della libreria romana Ferretti (Catalogo della libreria già appartenuta alla chiara memoria del celebre professore Francesco Orioli, Roma, Ferretti, 1858).
BIBL. – Gentili 1919, pp. 479, 482; Valabrega 1923, pp. 755-759; Giovanni Maioli in DR, III, p. 738; Spano 1935, pp. 111112; Ercole 1941-42, II, pp. 337-338; Alberto Maria Ghisalberti in Enc. Italiana, XXV, p. 556; Vaccaro 1957, pp. 106-117; Caputo 1960, p. 150; Majolo Molinari 1963, I, p. 121; Lodolini Tupputi 1972a, pp. 253-256 (con rif. alle fonti d’archivio, bibl. ed elenco degli scritti); Orioli 1983, p. 12 e passim, Barbini 1985-86 (con rif. alle fonti d’archivio); Orioli 1986; Barbieri 1998, pp. 145-160 (con rif. alle fonti d’archivio).