Pagliacci – Famiglia (Secc. XVIII-XIX)
Originaria di Arlena di Castro e di Canino, stabilita a Viterbo all’inizio del Settecento ed ivi ascritta alla locale nobiltà nel 1723, fiorendo nei secc. XVIII e XIX. I primi P. noti vissero ad Arlena di Castro nel Seicento e furono militari. Dalla fine di quel secolo la famiglia ebbe «casa grande» a Canino, dove il capitano Silverio fu ascritto al ceto nobile ( 1698). Nel 1702, per cessione del marchese Andrea Maidalchini, indebitato con i P., Silverio acquisì beni in Viterbo (poderi, vigne e case, tra cui un palazzo a piazza S. Caterina, oggi sede della Cassa di Risparmio).
Suo figlio Giacomo ottenne l’appalto di una miniera di vetriolo (solfato di rame) sulla strada per Bagnoregio e ne spacciò il prodotto con esclusiva per tutto lo Stato della Chiesa; alla sua morte (1716) tali diritti passarono al fratello ed erede Antonio (1698-1776), che fu il maggiore artefice delle fortune della famiglia. Liquidato nel 1719 l’appalto della miniera, ebbe invece quello delle dogane della provincia del Patrimonio (almeno fino al 1750), della quale fu anche tesoriere generale e in seguito direttore delle Poste. Giunto a notevole ricchezza, ornò sia il palazzo oggi della Cassa di Risparmio sia quello di Canino con tele del pittore viterbese Domenico Corvi. Già nel 1730 aveva contribuito con 300 scudi all’edificazione del monastero domenicano del Rosario a Valentano, fondato da suor Cecilia Agnese Starnini; nel 1759 era «deputato» per la festa viterbese di santa Rosa; nel 1762 otteneva da papa Clemente XIII il titolo di conte sulla tenuta di Villanova (formata con i fondi già Maidalchini, sita sulla Cassia verso Montefiascone).
Nel 1782 i fratelli Silverio (1747-1810) e Giacomo (1759-1831), figli di Antonio, strinsero società con Giuseppe Franceschini e Francesco Polidori per l’appalto dei forni di pane di Viterbo. Come il padre, Silverio fu direttore delle Poste (dal 1775), mentre Giacomo fu direttore dell’Ospedale Grande ed ebbe cariche civiche. Alla fine del Settecento si estingueva nei P. l’antica famiglia viterbese dei Sacchi, onde il conte Antonio junior (1794-1864), figlio di Giacomo e di Maria Felice Sacchi, assunse il cognome Pagliacci Sacchi. Fu «guardia nobile» di Napoleone. Suo figlio Giovanni (v.) fu figura importante nell’età del Risorgimento, ai cui ideali contribuì con l’opera e con i beni di famiglia.
I P. si sono estinti nella prima metà del Novecento. Il loro palazzo cittadino era stato venduto a Giuseppe Moscatelli, dal quale nel 1874 passò alla Cassa di Risparmio di Viterbo, che ne ha fatto la propria sede. Le sepolture di famiglia sono in S. Maria della Verità. Arme: d’azzurro al destrocherio di carnagione, vestito di rosso, movente dal lato sinistro e impugnante tre spighe d’oro. Nell’Ottocento l’arme era partita con quella dei Sacchi (v.).
BIBL. – Spreti, V, p. 35; Signorelli 1968, pp. 146, 158; Carosi 1997a, p. 170; Angeli 2003, pp. 143, 232, 373-375, 458, 474, 509, 572, 841, 901.