Chiesa di S. Pellegrino
La chiesa si trova nel borgo ad est della città di Viterbo, anticamente detto “Borgolungo”, oggi chiamato quartiere di S. Pellegrino. Si ha notizia della sua esistenza già dal 1045[1] e, poco dopo, della sua subordinazione alla giurisdizione dell’Abbazia di Farfa e alla protezione dell’abbazia di S. Martino al Cimino[2]. I documenti che attestano la presenza della chiesa non fanno cenno al santo dedicatario, ma la tradizione di celebrare la festa nella prima settimana di maggio, ancora oggi viva, ha portato gli studiosi ad ipotizzare la dedicazione a Pellegrino vescovo di Auxerre ricordato nel martirologio romano il 16 maggio. Tale ipotesi è avvalorata dalla fondazione della chiesa nella prima metà dell’XI secolo, che porta ad escludere altri santi omonimi[3]. Nel XIII secolo il clima salubre che caratterizza Viterbo – dovuto alla sua ubicazione alle falde del Cimino e la favorevole posizione in prossimità della Via Cassia – facilitano l’aumento della popolazione e la costruzione di nuovi e prestigiosi palazzi[4]. Nel 1251, con la divisione della città in quartieri, il borgo viene inserito nel quartiere di S. Pietro, ma la chiesa assume maggiore importanza soltanto nel XV secolo quando, per la sua ubicazione in una zona ormai molto popolare, è annoverata tra le chiese parrocchiali economicamente più agiate[5]. S. Pellegrino – che non resta esente dalla riforma attuata dal vescovo Gualterio volta ad abolire le parrocchie cui era assegnato un ristretto circuito territoriale – il 29 dicembre 1557 viene unita alla parrocchia di S. Bartolomeo (presso cui era istituito il monastero della Visitazione eretto dalla duchessa Girolama Orsini Farnese), ma le rendite di S. Bartolomeo vengono aggregate al Capitolo della cattedrale[6]. Pochi anni dopo il sostegno dei parrocchiani a S. Pellegrino sembra tornare ad aumentare: viene soppressa la vicina parrocchia di S. Giovanni in Pietra perché fatiscente e la cura delle anime viene distribuita fra le contigue chiese di S. Maria Nuova, S. Leonardo e S. Pellegrino[7]. Le notizie successive risalgono al periodo napoleonico quando, soppresse molte corporazioni ed espulsi i religiosi, le chiese pertinenti alle associazioni soppresse o ridotte in cattive condizioni, vengono “declassate”. Seguendo queste direttive la cura di S. Pellegrino viene traslata a S. Bartolomeo[8]. A sostenere la chiesa interverrà, quasi un secolo dopo, il Vescovo Antonio Maria Grasselli che la farà restaurare dotandola di una nuova facciata[9].
[1] Il documento è citato in G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, vol. I, Viterbo, Cionfi, 1907, p. 111 e pubblicato in P. Egidi, L’abbazia di San Martino sul Monte Cimino, in “Rivista Storica Benedettina”, 1906, n. 4, pp. 579-590.
[2] G. Signorelli, Viterbo …, op. cit, vol. I, 1907, p. 111.
[3] M. Bonelli, Viterbo. Chiesa e quartiere di S. Pellegrino, in San Pellegrino tra mito e storia. I luoghi del culto in Europa, a cura di Adelaide Trezzini, Roma, Gangemi ed., 2009, p. 95.
[4] G. Signorelli, Viterbo …, op. cit, vol. I, 1907, p. 139.
[5] G. Signorelli, Viterbo …, op. cit., vol. II, parte I, Viterbo, Unione, 1938, p. 240.
[6] G. Signorelli, Viterbo …, op. cit, vol. II, parte II, Viterbo, Unione, 1940, p. 248.
[7] G. Signorelli, op. cit., vol. II, parte II, 1940, p. 249.
[8] G. Signorelli, Viterbo …, op. cit., Vol. III, parte II, Viterbo, Quatrini, 1969, p. 287.
[9] G. Signorelli, Viterbo …, op. cit., Vol. III, parte II, 1969, p. 539.
[Scheda di Elisa Angelone – Cersal]