Santacroce – Famiglia (Sec. XIII-XIX)

Famiglia patrizia romana, documentata dal sec. XIII, con leggendaria tradizione di discendenza dal console Publio Valerio detto Publicóla (P. Valerius Poplicola), vissuto nel sec. VI a. C., e da quell’antichissima gens patrizia, onde l’uso dei S. di attribuirsi il nome Publicola, aggiungendolo al proprio cognome. I S. furono presenti nel Lazio con feudi e tenute a partire dal sec. XV. A tale presenza è dedicata questa voce, mentre per le notizie generali sulla famiglia e sui singoli membri si rinvia alla letteratura storica, critica e biografica citata in Bibl.

Alla metà del sec. XV dei S. era la terza parte della tenuta di Castel Giuliano di Bracciano (1456); le altre quote erano dei Leni e di Napoleone Orsini. Prima del 1475 era già loro la tenuta e casale della Maglianella sulla via Aurelia (oggi zona tra la borgata di Montespaccato e la Pisana). Nel 1493 Giorgio S. era signore di Viano (oggi Veiano), con ampio territorio tra i monti Sabatini e Blera, completato dall’acquisto, nello stesso anno, del castello di Rota da Gentile Virginio Orsini.

Mentre i diritti su Castel Giuliano venivano ceduti da Bartolomeo a Domenico Massimo (1513), a Veiano furono eretti il palazzo baronale (1518), la chiesa parrocchiale e la cappella gentilizia dei S., costruita su disegno di Antonio da Sangallo il Giovane; ivi sono i sepolcri di tre signori di Veiano, Onofrio, Scipione e Giorgio (a Roma, i S. ebbero invece sepoltura nella piccola chiesa di loro giuspatronato detta S. Maria in Publicolis, nonché in S. Maria della Scala). Nella parte meridionale del loro feudo, i S. eressero il borgo di Oriolo (oggi Oriolo Romano), che fu popolato con emigranti pistoiesi e perugini (1560-1562).

Il risultato, fortemente voluto da Giorgio junior (m. 1586), figlio di Onofrio, fu uno dei più notevoli esempi di paese agricolo pianificato del Cinquecento; Giorgio restaurò il tratto della via Clodia che vi conduce, disboscò la zona, rendendola adatta alle coltivazioni, fece costruire il palazzo baronale (1585) e la chiesa di S. Giorgio (1577), di giuspatronato dei Santacroce. L’ascesa della famiglia è confermata dalla nomina a cardinale di Prospero (1514-1589), figlio di Tarquinio, nel 1565, noto per aver introdotto in Europa la coltivazione del tabacco, detto «erba S.». Prospero rifondò la fortuna della famiglia, che era rimasta molto danneggiata dal Sacco di Roma; il suo prestigio di diplomatico e la sua energia nell’affrontare i problemi furono indiscussi; nel Lazio ebbe in dono Castell’Arcione sulla via Tiburtina da Francesco e Girolamo Orsini (1531) e acquistò dal duca Paolo Giordano Orsini il feudo di San Gregorio (oggi San Gregorio da Sassola) con la vicina tenuta di Gerocomio (1567), da lui trasformata in villa di gusto classico; l’acquisto fu completato dal vicino castello di Casape, cedutogli dai Leonini. Il passaggio dagli Orsini ai S. non fu gradito dalla popolazione di San Gregorio: contro il cardinale fu organizzato un attentato, che Prospero fece fallire con abilità; avendo avuto sentore che gli avrebbero sparato nel palazzo baronale, ricorse all’ingegnoso uso di un fantoccio che gli somigliava e che fu colpito dall’archibugiata; ordinò allora la rigorosa ricerca e punizione a morte dei colpevoli, esponendo le loro mani mozze; il Comune di San Gregorio, ritenuto complice, fu condannato a pagare 10.000 scudi d’oro. Mezzi durissimi, con i quali fu eliminato ogni spirito di ribellione.

Ma subentrò un logico disamore dei S. per quelle terre in diocesi di Tivoli, che nel 1599 furono tutte cedute alla famiglia Conti da Tarquinio, figlio naturale del cardinale, ottenendo in permuta Patrica. Il momento non era favorevole ai S., che furono scossi da tragiche vicende familiari. Il figlio di Giorgio junior, Onofrio, fu accusato di aver incitato il fratello Paolo a uccidere la comune madre Costanza a colpi d’accetta; ritenuto responsabile dell’orribile crimine, fu condannato a morte e decapitato (31 gen. 1604). Veiano, Oriolo e Rota furono confiscati dalla Camera Apostolica, ma contro questa disposizione reagì il cugino di Onofrio, Marcello (m. 1614), con i figli Valerio e Antonio. La Camera respinse il reclamo, limitandosi a restituire la dote a Erminia Mattei, vedova del decapitato, mentre i feudi furono assegnati al duca di Bracciano Virginio Orsini, cui Erminia fu costretta a cedere ogni diritto. Ai S. restava solo il castello di Patrica, ottenuto in permuta nel 1599, ma fu per poco: nel 1625 il castello fu ceduto al principe Filippo Colonna. Una nuova presenza nel Lazio si ebbe con il rapido recupero di prestigio della famiglia: nel 1629 Antonio fu fatto cardinale, mentre suo fratello Valerio (1596-1670), avendo sposato Tunica figlia di Marcello, manifestava le rivendicazioni dei perduti beni feudali. Dieci anni dopo Valerio acquistò il castello sabino di Pietraforte, vendutogli da Oddone Palombara (16 sett. 1639). Il marchesato di Pietraforte rimase ai S. fino al 1680 circa, quando il figlio di Valerio, Scipione (1616-1668), lo cedette ai marchesi Maccarani, mentre acquistava altre terre sabine (Oliveto, Posta e Posticciola) dal principe Maffeo Barberini (chirografo di autorizzazione papale del 18 die. 1682). Anche questo modesto complesso di terre fu eretto a marchesato a favore di un altro Scipione (1681-1747), nipote del nominato (7 ott. 1718). Il figlio Valerio alienò Oliveto, Posta e Posticciola al banchiere Girolamo Belloni (1750), ma aveva ereditato dal padre il ben più importante ducato di Sangemini. Finiva così la presenza dei S. nel Lazio, ad eccezione del piccolo feudo di Graffignano, acquistato nel 1741 dai Borromeo; nel 1751 ne era principe Valerio, figlio di Scipione. Graffignano rimase ai S. per oltre un secolo; al tempo dell’Unità d’Italia tutte le proprietà S. a Graffignano furono concesse in enfiteusi perpetua alle famiglie Apolloni e Paparelli, ma le liti con i comuni di Graffignano e di Civitella d’Agliano si protrassero fino al primo decennio del Novecento. La famiglia fu a lungo di parte politica filoimperiale, indirizzo rinsaldatosi dopo la nunziatura all’imperatore del cardinal Andrea (v.), figlio di Scipione; l’altro figlio di Scipione, Antonio, fu consigliere aulico degli imperatori Leopoldo I e Giuseppe I, dignità conferita dopo di lui al figlio Scipione, che dell’imperatore Carlo VI fu anche ambasciatore alla S. Sede. Nella seconda metà del Settecento la figura più nota fu quella di Giuliana Falconieri, moglie del principe Antonio, che nel palazzo di famiglia presso S. Carlo ai Catinari tenne un vivace salotto, di spiriti galanti e libertini. Nel 1827 i S. furono nominati duchi di Corchiano. In seguito la famiglia decadde e dovette essere riammessa al patriziato romano nel 1854. I S. si estinsero in linea maschile nel 1867 con il duca Antonio, padre di tre figlie femmine, che sposarono rispettivamente un Rangoni, uno Sforza Cesarini e un Passali.

Arme: partito d’oro e di rosso alla croce patente dell’uno nell’altro.

BIBL. e FONTI – ASR, Archivio Santacroce. Marocco, I, p. 85, XI, pp. 56-58; Moroni, LXI, pp. 58-61; Forcella, IV, pp. 454-458; Carlo Augusto Bertini in Amayden, II, p. 186; Tomassetti, III, pp. 88, 228, VI, pp. 225, 589; Silvestrelli, pp. 146-147, 288-289, 290-291, 409-410, 484-485, 573-574, 591-592, 599-602, 732, 767; Spreti, VI, pp. 112-113; Sinisi 1963; Belli Barsali – Branchetti 1981, pp. 19-20, 79; Weber 1989, pp. 397-398; Tanzella – Bernardini 1991,passim, Rotili – Stefani 1993; Weber 1994, p. 891-893; Epp 1996; Santacroce 1997; Squicciarini 1998, pp. 46-48; Epp 1999; Ruffini 2001; Cenci 2002, pp. 97, 325-327, 345 e passim-, Rendina 2004, pp. 548-550; Guerrieri Borsoi 2005; Ranaldi 2005.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus]