Zenti Girolamo – Cembalaro, organaro (Viterbo, ca. 1609/1611 – Parigi, 1666/1667).

Figlio di Francesco, fu forse il più noto cembalaro italiano del suo tempo, con sporadica attività anche come organaro. Ancora nel 1741 un manoscritto riporta che ebbe «plauso universale per il suo argento, e quantità d’armonia». Alcuni dei suoi cembali sono oggi riprodotti in copia da diversi costruttori. La sua attività romana viene segnalata a partire dal 1635, anno in cui fornì un cembalo a don Taddeo Barberini, nipote di papa Urbano VIII. Nel 1641 venne nominato manutentore degli strumenti da tasto della famiglia Barberini (succedendo al celebre Giovanni Battista Boni da Cortona), per poi ricoprire lo stesso incarico presso i principi Pamphili (1645-1646), per i quali costruì un cembalo.

Grazie alla sua fama operò anche all’estero: a Stoccolma (presso la corte di Cristina di Svezia, 1652/1653- 1656), a Parigi (ca. 1660-1662, 1666-1667) e a Londra (1664, in qualità di «virginal maker» di Carlo II). Anteriormente al suo trasferimento a Stoccolma la sua vita a Roma fu però piuttosto travagliata e forse disordinata. Nel periodo 1641-1650 vengono infatti segnalati alcuni debiti da lui contratti, con relative richieste di dilazione; da un documento notarile recentemente affiorato risulta inoltre che nel 1650 si impegnò per contratto a costruire un cembalo, per poi dover restituire al committente 76,90 scudi per non averlo consegnato. Tra i suoi lavoranti tre si distinsero particolarmente come cembalari: Andrea Testa (che nel 1664 gli succederà presso la corte inglese), Giovanni Battista Giusti (del quale un magnifico cembalo è custodito nella collezione di Luigi Ferdinando Tagliavini, a Bologna) e Carlo Perelli. Sposato con Antonia Cafaggi (n. ca. 1620), a Roma Z. figura inizialmente con bottega nella zona di via del Pavone, per poi – dopo il suo ritorno dalla Svezia – spostarsi nei pressi dell’Ospedale S. Spirito. Con lui è registrata anche la sorella Camilla, vedova del pittore Francesco Sabbatini (autore, fra l’altro, degli affreschi della chiesa di S. Rosa a Viterbo).

Nella sua bottega compare anche il pittore Carlo Reggio (noto anche come Carlo Raimo), marito di una figlia di Boni da Cortona. Raimo fu probabilmente suo collaboratore: alcuni suoi strumenti dovevano infatti essere riccamente decorati, come testimonia un annuncio di vendita parigino del 1753, riguardante un «clavecín à ravallement de Gerolamo de Sentis. L’enlèvement des Sabines est peint en dehors et de grands morceaux d’architecture ornent le dedans». Riguardo alla sua produzione, un inventario dei beni di Ferdinando de’ Medici (1700) elenca sei suoi strumenti: tre cembali (1653, 1656, 1658), due spinette e uno spinettino. Il cembalo del 1658 disponeva di «tre registri, cioè due principali unisoni et ottava bassa» (la sua lunghezza, superiore ai 3 m, conferma che doveva essere dotato di un registro di 16’). Una delle due spinette era armata con «corde d’oro», metallo che – grazie alla sua alta densità – permetteva di limitarne la lunghezza (e che viene segnalato in alcuni altri strumenti di quel tempo, sebbene raramente); essa è firmata «Hyeronimus de Zentis fecit Parisis anno Domini 1668», e dovette quindi essere completata dopo la sua morte. Degli strumenti tuttora esistenti che portano il suo nome solo cinque sono oggi da D. Wraight ritenuti autentici: tre cembali e due spinette, una delle quali del tipo bentside.

Riguardo alle spinette, quella del 1637 risulta il più antico esemplare pervenuto del tipo detto bentside. È quindi probabile che Z. ne sia stato l’inventore, dato che di un possibile precedente esempio (del costruttore francese Montazeau, 1632) nulla si sa di più preciso. Probabilmente a essa si riferisce la Historia musica di Giovanni Andrea Angelini Bontempi, che ancora nel 1695 lo menziona come autore de « i più moderni cembali» (ma che fornisce una descrizione piuttosto confusa di un suo strumento). Due erano le principali caratteristiche costruttive di tale spinetta: corde tessute obliquamente rispetto alla tastiera, per cui il suo ingombro era inferiore a quello del virginale inglese, strumento che dovette cedergli il passo; punto di pizzico delle corde più spostato verso la mezzeria, da cui un’emissione meno ricca di armonici ma di maggior volume. Grazie a queste caratteristiche la bentside ebbe grande diffusione nel corso del Settecento, e cadde in obsolescenza solo con l’avvento del pianoforte a tavolo.

Come organaro, di Z. si segnala un solo documento: quello relativo al contratto stipulato nel 1660 con Camillo Pamphili – nipote di papa Innocenzo X – per un grande organo su base 16’ da costruirsi per la chiesa di S. Agnese in Agone (Roma, piazza Navona), cappella privata del principe. A causa del suo successivo trasferimento a Parigi i lavori si dovettero però arrestare ai mantici e al somiere, tanto che nel 1665 Camillo gli fece causa e l’anno successivo affidò l’opera al celebre organaro gesuita Willem Hermans, che la reimpostò su criteri radicalmente nuovi. Curatore dei lavori fu però — sia con Z. che con Hermans — l’organaro Matteo Marione, che compare stabilmente nel laboratorio di Girolamo anche negli anni in cui questi operò a Parigi.

BIBL. – Gai 1969, pp. 6-8; Mischiati 1972, pp. 105-106; Ripin 1973, pp. 71-87; Costantini – Magaudda 1985, pp. 277-295; Hammond 1987, pp. 37-47; Barbieri 1989, pp. 123-209; Lindgren 1989, pp. 211-223; Pollens 1991, pp. 77-93; Wraight 1991, pp. 99-102; Boalch 1995, pp. 212-213; Denzil Wraight Ripin in New Grove, 27, pp. 793-794; Barbieri 2005, pp. 61-94.

[Scheda di Patrizio Barbieri – Ibimus]