Bussi – Famiglia (Viterbo, sec. XIII- sec. XIX)

Antica famiglia viterbese, ivi documentata dal sec. XIII, in origine dedita all’industria e al commercio e rapidamente arricchitasi giungendo con il tempo a ruoli primari non solo nelle vicende cittadine ma anche al servizio della Chiesa come ecclesiastici e condottieri. Ebbero un grande palazzo in contrada Sant’Egidio, costruito nel 1430; altro palazzo nella parrocchia di S. Luca e un’altra casa con giardino presso la chiesa di S. Matteo. Circa le origini della famiglia, le notizie offerte dai B. al genealogista Marchesi nella prima metà del sec. XVIII proponevano una ipotetica origine in un Ugolino Vitozzo detto Bussa, console di Orvieto nel 1080, e una più diretta discendenza da Ugolinuccio di Francesco, ufficiale dell’imperatore Ludovico il Bavaro e suo vicario a Viterbo (1328). Si tratta probabilmente di un tentativo a posteriori di nobilitare le origini della stirpe, che, a quanto sembra, furono socialmente ben più modeste, connesse con l’artigianato del rame e con la zona costiera di Corneto.

Un Petrus Bussa compare in un atto rogato a Montalto di Castro nel 1186 (Signorelli). In una pergamena dell’archivio della cattedrale di Viterbo, datata 25 feb. 1261, si nomina un Thomas de Bussa artigiano del rame. La genealogia sicura della famiglia, ricostruita integralmente da Noris Angeli, inizia con Muzio, morto nel 1297. Da questo capostipite nacque Domenico (1280-1350), detto Bussa perché di mestiere calderaio. Il cronista quattrocentesco Juzzo, parlando dei Bussi, dice che «erano calderari e diventaro ricchi a Corneto per la compera di certa cera che vi trovaro denari dentro» (cit. in Signorelli 1968).

Giunti così alla ricchezza in un modo alquanto fiabesco, i B. aggiunsero al commercio del rame quello delle stoffe e ben presto anche l’attività di cambiavalute e finanzieri. Alcuni furono anche speziali. La continua presenza dei B. sia a Viterbo che a Corneto lascia presupporre che gestissero traffici commerciali tra il porto di quest’ultima città e il capoluogo del Patrimonio di S. Pietro; anche la fornitura di spezie potrebbe rientrare in questa ipotesi. Alla ricchezza si aggiunse ben presto un maggior rango sociale: nel 1403 lo speziale Luca, figlio di Petruccio, fu priore del Comune di Viterbo. Il figlio Petruccio fu «fattore» (secondo Angeli da intendersi come agente e factotum) del conte Everso dell’Anguillara, signore di Ronciglione. Il fratello Domenico successe al padre nella gestione della spezieria, avendo bottega anche a Corneto. Fu più volte priore di Viterbo, nonché tesoriere della provincia del Patrimonio; come finanziere prestò forti somme di denaro a Ranuccio Farnese.

L’esperienza mercantile e l’abilità finanziaria dei B. furono poi messe al servizio del­l’amministrazione pontificia: Luciano ebbe il controllo doganale delle esportazioni delle merci dal Patrimonio (1458). Nel 1470, mentre era priore del Comune fece costruire la volta della chiesa di S. Maria della Verità a Viterbo e ampliò l’annesso convento. La sua attività mercantile, che controllava tutto il commercio di metalli della zona gli procurò rapporti non solo con la Santa Sede ma anche con altri potentati italiani: Noris Angeli segnala la sua corrispondenza con Lorenzo il Magnifico. L’amicizia con i Medici è confermata dalla presenza di stemmi medicei affrescati nel salone del palazzo gentilizio dei Bussi. Luciano inviò anche il fratellastro Giovanni Antonio presso Galeazzo Sforza duca di Milano, che lo prese al proprio servizio come staffiere. I rapporti già in precedenza stabiliti con i signori di Ronciglione consentirono a Luciano, che fu anche insignito del titolo di conte palatino, di sposare Dianora Anguillara. I suoi figli ebbero cariche civiche e contrassero matrimoni con famiglie nobili. Il nipote Giovanni Battista, vissuto nella prima metà del Cinquecento, fu figura di spicco della città, sia per le doti umane e religiose, sia come priore del Comune, sia soprattutto per la grande ricchezza, accresciuta dalle nozze (1516) con Lucrezia Boninsegni di Siena, figlia del socio del banchiere Agostino Chigi e nipote del potente cardinale Lorenzo Pucci.

Questa posizione primaria dei B. tra le famiglie della città diede luogo al motto in dialetto viterbese «quanno Busse vò bussà, tutto ‘l monno fa tremà». I figli di Giovanni Battista furono esperti giuristi oppure abbracciarono la carriera ecclesiastica. Il rapporto con i Medici si mantenne nel tempo: due figli di Giovanni Battista ebbero cariche e dignità dal granduca di Toscana, Francesco come uditore di Rota a Firenze, Alessandro come cavaliere di Santo Stefano. Quest’ultimo fu anche il primo militare della famiglia come capitano nella guerra di Fiandra. Come ufficiali della marina pontificia ebbero fama due B„ entrambi chiamati Papirio (v.); vestì invece l’abito religioso Girolamo (v.), figlio di Giulio che si fece gesuita, mentre suo fratello Ludovico (n. Viterbo 21 ag. 1621) percorse la carriera prelatizia come governatore di Tivoli (1650) e di Rieti (1652), vicelegato a Ferrara (1654), dove condusse lavori nel palazzo legatizio.

Durante l’epidemia di peste del 1656-1657 fu nominato commissario apostolico per la sanità nella provincia del Patrimonio, combattendo con successo il diffondersi del contagio a Viterbo e a Montefiascone. Prelato votante nei Tribunali della Segnatura e ponente nella Congregazione della Consulta, Innocenzo XI lo nominò commissario apostolico per la fornitura di grano del Patrimonio, quindi segretario della Congregazione del Buon Governo. Nel 1662 egli attendeva la promozione a cardinale; confortato dalle voci positive che circolavano convocò parenti e amici nel palazzo della Consulta; ma la notizia era falsa. Ludovico, impassibile, commentò: «se abbiamo perduto il cappello non perdiamo almeno il pranzo» e invitò tutti a tavola. Innocenzo XII lo nominò chierico della Camera Apostolica, ma ben presto egli abbandonò la carriera prelatizia e si ritirò a vivere nel palazzo Cesi in Borgo.

Fu buon letterato, membro dell’Accademia degli Intrecciati. Morì a Roma nel febbr. 1698 e fu sepolto nella sua parrocchia (S. Spirito in Saxia), ma poi la salma fu traslata dai nipoti nella Chiesa Nuova ed ivi posta in sepolcro marmoreo con iscrizione (Forcella, IV, p. 166). Di lui resta un’orazione giovanile (Ignis eruditio sive De S. Spiritus adventu oratio, Romae, ex typographia haeredum Francisci Corbelletti, 1641), che aveva recitato in veste di studente del Seminario Romano di fronte al papa Urbano VIII nella Cappella Sistina.

Altri suoi Discorsi accademici rimasero inediti nonostante il giudizio molto favorevole di Michele Giustiniani (in Giustiniani 1665, p. 231). Dei nipoti di Ludovico, combatterono sulle navi del papa contro i Turchi i fratelli Antonio Domenico (v.) e Alessandro (1653-1723), figli di un altro Giovanni Battista (1620-1657) e di Eleonora di Marsciano. Ma il maggior prestigio venne alla famiglia da Pier Francesco, detto Giovanni Battista (v.), altro loro fratello che diverrà cardinale. Pure fratello dei pre­cedenti fu il letterato Giulio (v.). Tra i numerosi figli di Giulio giunse nuovamente alla porpora cardinalizia Pier Francesco (Roma 1693-1765). Laureato in legge a Bologna (1709) seguì lo zio Giovanni Battista nella nunziatura di Colonia e fu avviato egli stesso alla carriera prelatizia, nel corso della quale fu reggente di Cancelleria (1731), canonico di San Pietro e membro della Congregazione della Fabbrica, uditore di Rota (1733). Benedetto XIV lo fece cardinale il 24 sett. 1759 dandogli il titolo di S. Maria in Via. Amante di lettere come suo padre, fu aggregato all’Arcadia nel 1705 con il nome Ninfeo Cereate e scrisse versi pubblicati in antologie dell’epoca. A Viterbo fece restaurare la cappella di S. Raimondo nel santuario della Quercia (1755). Fu sepolto nella cappella di famiglia a S. Maria in Trastevere.

La discendenza in linea primogenita della famiglia fu proseguita da suo fratello Innocenzo (1694-1781), con il quale la famiglia si trasferì stabilmente a Roma. Rinunziando ai diritti e ai beni di casa B., Innocenzo ottenne dal marchese Giovanni Andrea Muti il cospicuo patrimonio di quella stirpe, con l’obbligo di assumerne il cognome. Nacque così la linea Muti Bussi (v.). Mentre il patrimonio dei B., con il diritto di primogenitura passò al fratello minore di Innocenzo, Domenico (1701-1794), capitano «di sbarco» della marina pontificia. Da Domenico nacque il terzo cardinale della famiglia, Giovanni Battista (v.). Il fratello Antonio (1759-1834) fu cavaliere di Malta e capitano di vascello. Pio VI lo inviò come proprio plenipotenziario presso la Repubblica Cisalpina. Fu fatto in seguito balì dall’Ordine di Malta, che lo nominò proprio incaricato di affari presso la Santa Sede. Poiché anche l’altro fratello di Giovanni Battista e Antonio, Alessandro (1757-1804), capitano nell’esercito pontificio non prese moglie e non ebbe figli, la linea originata da Domenico si estinse e i B. furono perciò proseguiti dalla sola linea Muti B., nel 1746 ascritta al patriziato romano ma a sua volta estinta in linea maschile in Giulio, morto nel 1931 ; la sorella Olimpia, erede universale della famiglia e ultima rappresentante della stirpe, ottenne con decreto regio del 29 giugno 1933 di poter assumere il titolo di marchesa Muti B. per sé e per i propri discendenti. – Oltre ai palazzi già ricordati che i B. ebbero in Viterbo, va menzionata la villa di famiglia costruita nel 1737 dall’architetto Giuseppe Prada, trasformando un più antico edificio; essa è sita nel predio di Poggio Sasso o Bel Poggio, detto il Casino. La villa conserva nella galleria al secondo piano una serie di affreschi fatti eseguire dal commendator Papirio B. e raffiguranti le conquiste marittime compiute dai capitani della famiglia.

La famiglia ebbe una cappella intitolata a santa Lucia di proprio giuspatronato nella cattedrale; fu eretta eseguendo la volontà testamentaria di Cesare (m. 1589); i lavori furono compiuti dal fratello Muzio (m. 1602), che della cattedrale era canonico. La cappella fu restaurata nel 1724 dal cardinal Giovanni Battista che vi fece apporre sul­l’altare un quadro del pittore Ludovico Mazzanti (Apparizione della Madonna a s. Lucia). Altre cappelle di famiglia si trovano in S. Faustino (risalente al 1420 e intitolata ai santi Cristoforo e Giacomo), in S. Maria in Gradi (costruita nel 1466 e intitolata a s. Pietro Martire) e in S. Francesco; quest’ultima, che ospitava il sepolcro di famiglia ed era riccamente ornata di marmi, è andata distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Ebbero anche cappella nella chiesa di S. Francesco a Canino. A Roma i Muti B. ebbero cappella nella chiesa di S. Marcello, intitolata alle sante Degna e Merita, e altra cappella in S. Maria in Trastevere.  Arme: d’azzurro ai due occhi al naturale accostati in fascia. I Muti B. la unirono a quella della famiglia Muti (v.).

BIBL. – Le maggiori notizie sulla famiglia in Angeli 2003, pp. 75-89, 627-631 (con albero genealogico e completi rif. alle fonti d’archivio). – Inoltre: Amayden, I, p. 223; Marchesi 1735, II; Marocco, XIV, pp. 48, 67, 89, 100; Signorelli 1968, pp. 74-78; Weber 1994, p. 530.

[Scheda di  Saverio Franchi – Ibimus]