Fani – Famiglia (Tu­scania, sec. XVI-XX)

Presente a Tuscania dalla metà del sec. XVI, ebbe tra i suoi esponenti Sebastiano e Paolo Vittorio, che alla metà del secolo fu nominato nel consiglio cittadino. La famiglia acquisì vaste tenute destinate a grano nei pressi di Corneto, e successivamente effettuò diversi investimenti immobiliari, sia a Tuscania che a Viterbo e a Roma. In questa città erano già presenti e affermati nel corso del XVI secolo dato che i Fani erano imparentati con alcune delle più importanti famiglie dell’aristocrazia capitolina e Mario (v.) aveva acquistato una serie di edifici all’Aracoeli che farà ristrutturare da Giacomo Della Porta e che saranno venduti poi a Bartolomeo Ruspoli nel 1632. A metà Cinquecento Sebastiano e Paolo Vittorio Fani erano stati ascritti all’Ordine del Giglio, aristocratica compagnia che sosteneva i Farnese.

A Viterbo i Fani erano parte del patriziato viterbese fin dal 1540 e in quegli anni Sebastiano, in seconde nozze, aveva sposato Diana Loddi di Viterbo. Il figlio Paolo Vittorio, dopo la metà del secolo, aveva acquistato diverse tenute nel territorio tra Tuscania e Montalto ed era divenuto membro del consiglio della Comunità.  Nel 1564 era avvenuta una divisione dei beni tra i fratelli Girolamo, Paolo Vittorio e Mario, questi già attivo sulla piazza di Roma. Dall’inizio del 1600 gli interessi della famiglia si concentrano ancora di più su Viterbo: nel 1606 i F. hanno l’appalto della panetteria, l’anno prima, nel 1605, avevano ottenuto l’affitto di diverse tenute della Diocesi di Viterbo anche nel territorio di Tuscania, nel 1622 uno dei Fani era tra i Conservatori di Viterbo, così pure nel 1683 e nel 1687. Paolo Vittorio, figlio di Gabriele e di Girolama Spandesi, aveva ottenuto in donazione da Adriana de Antiquis, sua parente, il palazzo Especo y Vera, che le era stato lasciato dal figlio nel 1638. Un Vincenzo era entrato tra i Domenicani e diventato influente presso la corte di Alessandro VII che lo incarica della revisione dell’Indice di libri proibiti e lo nomina Segretario della Congregazione dell’Indice.

Il ramo dei Fani rimasto a Tuscania continuava ad esercitare ruoli importanti nella vita della città anche in relazione al fatto d’essere grandi proprietari terrieri e produttori di grano che serviva sia a Tuscania che a Viterbo che a Roma. A Tuscania troviamo i Fani munifici donatori nei confronti delle locali istituzioni ecclesiastiche e poi gonfalonieri della Comunità nel 1639, nel 1644 e nel 1648.

Un Vincenzo, reintegrato nella nobiltà viterbese tra fine Seicento e Settecento, nel 1709 era amministratore dell’Ospedale Grande e conservatore nel governo della Città come il figlio Tommaso che fu ripetutamente magistrato del Comune mentre un altro figlio Vincenzo si dedicò agli studi ecclesiastici divenendo abate e cappellano di un altare di giuspatronato nella chiesa cattedrale di Tuscania.

Nel XVIII secolo, al momento della redazione del catasto rustico voluto da Pio VI, il ramo dei Fani di Tuscania era il maggior latifondista laico della città possedendo oltre 1000 rubbia di terreno (contro i 1900 della Comunità e i 1450 della Mensa vescovile). Un secolo più tardi, passati indenni dopo gli sconvolgimenti del periodo francese e le prime riforme agrarie, i Fani a Tuscania erano tra i maggiori latifondisti insieme con i Bruschi-Falgari-Quaglia di Tarquinia, il principe Boncompagni, il marchese Lavaggi e il marchese Ssacchetti.

Nel primo Ottocento un Tommaso di Tobia fu gentiluomo di Camera di Carlo Alberto di Sardegna e sposò la principessa Eleonora Spada che divenne in seguito dama di compagnia della regina Maria Cristina. Un figlio di Tommaso, Vincenzo, si laureò in diritto canonico e civile e fu uomo colto e di profonda fede cristiana; sposò Elmira Misciatelli avendone tre figli tra i quali Mario (v). fondatore del Circolo Santa Rosa da Viterbo che dette origine alla Società della Gioventù Cattolica Italiana. Un nipote di Mario fu Vincenzo che fu cavaliere di Malta, Cameriere segreto di Spada e Cappa e aderì all’Associazione Nazionalista Italiana e successivamente al movimento futurista pubblicando diverse opere. La famiglia è ancora presente a Viterbo nel Palazzo di Via Garibaldi.

Arme: d’azzurro alla fascia accompagnata in capo da un giglio e in punta da un tronco di colonna, il tutto d’argento.

BIBL. – Quattranni 1994, pp. 26-30; Bertollini 2002, p. 32; Guida TCI Lazio 2005, pp. 170, 312; Angeli 2003, pp. 211-216; G. Cerasa, L’Agro tuscanese e i diritti civici, Viterbo, 1911, pp. 1-15; M. C. Cola, I Ruspoli. L’ascesa di una famiglia a Roma e la creazione artistica tra Barocco e Neoclassico, Roma, 2018, passim.

[Scheda di Simona Sperindei – Ibimus; integrazione di Luciano Osbat-Cersal]