Panzadoro, Giovanni – Poeta, drammaturgo, politico (Civitanova Marche, 1777 o 1778 – Post 1849)

Nato a Civitanova-Marche (Fermo) tra il 1777 e il 1778 da una famiglia agiata: “Fermano e cellenese” (come egli stesso scriveva) poiché la prima città ne vide i natali e l’altra – Celleno –  fu quella di elezione. Il padre, Domenico, era un illustre “fisico” (medico) sposato con Vittoria Bartolocci di Celleno. Molto rare e frammentate le notizie circa la sua infanzia e soprattutto la sua formazione. Q. Galli suppone che possa aver frequentato il Seminario di Montefiascone.

Dalle sue opere si evince che fu avverso ai giacobini e alle truppe francesi che avevano occupato Montefiascone; si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà alla Repubblica pur avendo accettato di prestar servizio nel suo apparato amministrativo. Si adoperò in quegli anni in difesa della Chiesa e della religione. Fu tra i primi ad unirsi al reggimento di Luigi Costaguti, con il grado di capitano, reggimento che faceva parte dell’esercito austriaco entrato nello Stato pontificio nella primavera del 1799. Finita la Repubblica Romana fu proposto dal popolo di Celleno per ricoprire la carica di Edile provvisorio, in virtù della sua comprovata onestà, carica che esercitò per poco più di un mese e che gli valse da parte degli stessi cellenesi un attestato di benemerenza per la rettitudine e per la disponibilità dimostrate nell’esercizio delle sue funzioni.

Nel 1800, per i tipi della Tipografia del Seminario, pubblicò a Montefiascone il suo poemetto Le Battaglie di Celleno, poemetti di Giovanni Pansadori cittadino fermasno e cellenese… (Montefiascone, Stamperia del Seminario, 1800). Subito dopo, all’età di 22 anni, il desiderio di viaggiare e l’amore per il teatro lo portarono ad unirsi alla compagnia Salimbeni con la quale rimase per 18 mesi, durante i quali scrisse, tradusse e riadattò una quindicina di commedie. Scioltasi la compagnia a Bologna in seguito alla morte del Salimbeni e non avendo potuto riscuotere quanto gli spettava, si mise a fare l’improvvisatore.  Abbandonò le compagnie comiche, anche se nel 1801 scrisse ancora due commedie per l’impresario e attore Antonio Goldoni in Venezia. Tra il 1805 e il 1806 percorse tutta l’Italia, svolgendo l’attività, per lui nuova, di improvvisatore dopodiché decise di ritornare a Celleno, in seno alla sua famiglia, conducendo una vita ritirata in compagnia dei suoi libri. La permanenza nel paese non fu delle più felici. Nel 1808 era accolto dall’Accademia degli Ardenti di Viterbo come socio di Prima e Seconda classe: qui pronunciò più di una dissertazione e lesse poesie. Nel 1818 al Teatro Valle di Roma fu rappresentata dalla Compagnia Taddei una sua farsa teatrale, Nina e Ridolfo ossia La sposa delusa che riscosse molto successo e fu data alle stampe nello stesso anno.  

Intanto la vita familiare e privata a Celleno non era esente da dissidi; così, nel 1816, grazie all’interessamento di un amico, venne chiamato ad occupare un posto nella Segreteria Generale della Delegazione di Perugia trovando la pace ed una città stimolante dal punto di vista artistico.

Negli anni Venti dette alle stampe i suoi testi per il teatro, (Perugia, presso Giulio Garbinesi e Vincenzio Santucci, 1821-1827) ripartiti in quattro tomi:

primo tomo (1821): Amet Schah, imperatore dell’Indostan (tragedia); Le illusioni dell’apparenza, o vero I solitari di Cefalù (dramma); Il geloso e l’audace (commedia); La fata di Merlino (farsa).

secondo tomo (1822): L’Onengzeb, ossia la conquista della Guinea (azione spettacolosa); Buon cuore e disdetta (dramma); I pazzi per inganno (commedia); La malia immaginaria (commedia).

terzo tomo (1822): Clarissa Manzon (dramma); Cosa è la cortigiana (commedia); Le voci del sangue (commedia); I castelli in aria (commedia).

quarto tomo (1827): L’asilo della pace (dramma); Il licantropo (commedia); Il ritratto animato ossia la Sposa per equivoco (commedia); Il Generale Quotizo (commedia).

Intanto partecipava alle attività artistiche e letterarie dell’Accademia degli Ardenti dove, in occasione delle Feste di Santa Rosa, nel canonico incontro del 5 settembre, iniziava a leggere le parti di cui si comporrà poi I fasti di Viterbo, opera edita ad Orvieto da Pompei nel 1832.

Nel 1827 pubblicava Religione e filosofia a Roma presso Giunti e Mordacchini. In quest’opera rivela anche degli elementi della sua vita privata parlando della morte dei genitori e dell’abbandono subito dai suoi familiari.  

Nel 1829, quando era componente dell’Amministrazione Comunale di Celleno con la qualifica di Presidente, scrisse una lettera, probabilmente al vescovo di Montefiascone, dove parlava dei cattivi rapporti con la moglie e dalla quale emergono dissidi con i concittadini. Questi lo accusavano di concubinaggio e lo definivano lascivo e perverso e a tal proposito citavano alcuni suoi scritti che così lo rivelavano.

Nel 1836 tenne di nuovo una dissertazione presso l’Accademia degli Ardenti di Viterbo. Nel 1839 fu data alle stampe, assieme ad altri componimenti, una sua ode indirizzata a Filippo De Angelis. Nel 1840 venne ristampata Religione e Filosofia (Napoli, Tipografia della Società filomatica, 1840) curata e corredata di note dall’abate Vincenzo D’Avino. Resta ignota la data di morte che potrebbe essere successiva al 1849.

BIBL. – Giovan Battista Crocoli, Celleno. Dalle origini al 1870, Celleno, Pro loco, 1989; Giovanni Panzadoro, Opere, Volume Primo. Opere poetiche, a cura di Quirino Galli, Comune di Celleno 2006. Giovanni Panzadoro, Opere, Volume Secondo. Le opere teatrali, a cura di Quirino Galli, Comune di Celleno, 2007. 

[Scheda di Marco Taschini – Celleno]