Zelli – Famiglia (Viterbo, secc. XV-XX)

Famiglia nobile originaria di Viterbo (nel cui albo del patriziato venne inserita nel 1435), pro­seguita in Vetralla; un suo ramo si trasferì agli inizi del sec. XVII a  Bagnoregio, estinguendosi in questa località la linea viterbese, mentre la casata perdurò in Vetralla – dividendosi nei rami Zelli Pazzaglia (estinto alla metà del sec. XIX, e da cui prende nome il palazzo di Viterbo, abbandonato nel dopoguerra e restaurato nel 2005) e Zelli Jacobuzzi, tuttora fiorente – essendo reintegrata nel 1749 nella nobiltà viterbese.

Capostipite fu Francesco, detto Zello, tra i cui figli si segnalarono lo speziale Giovan Angelo e Giacomo, priore della città nel 1469, da cui nacquero Silvestro, con il quale la casata si diramò a Vetralla, Giovanni Francesco, priore nel 1516 e speziale nel 1522, e soprattutto il pittore Costantino (v.). Oltre che vari speziali – tra cui altro Costantino, che nella seconda metà del sec. XVI praticava quest’arte a Bagnoregio, e i suoi figli Bernardino e Orazio, anch’essi attivi in questa cittadina, mentre la spezieria viterbese di piazza S. Stefano il 29 set. 1537 veniva fatta stimare da Marco e dal nipote Giacomo – la famiglia diede a Viterbo altro priore nella persona di Bernardino (1559), figlio dell’artista Costantino, mentre il di lui fratello Giacomo il 7 ott. 1598 costituì insieme a Giulio Sinibaldi una società per il commercio di trine e suo figlio Girolamo nel 1626 era fabbro ferraio.

Del ramo di Vetralla originatosi con il trasferimento del già citato Silvestro furono rappresentanti di rilievo il medico fisico Giovanni Battista (26 giugno 1580 – 29 ott. 1626), padre del canonico Angelo che appoggiò Benedetto Baldi nell’istituzione di un monastero in Vetralla; e, figli di Marco Antonio e Margherita Mattuzzi, Vittoria, in religione suor Innocenza della Concezione, nel 1670 novizia nel monastero della Vergine del Monte Carmelo di Vetralla, e Girolamo (30 ott. 1652 – 16 nov. 1720). Questi si coniugò in prime nozze con Anna Costanza Pazzaglia della famiglia nobile di Civitavecchia avendone Pier Felice, che con Francesca Penelope Scarselli generò Biagio (15 nov. 1712 – 14 nov. 1783), con cui ebbe inizio la linea Zelli-Pazzaglia, e Leopoldo (24 dic. 1724 – 9 maggio 1787), erede fideiussario di Luigi Jacobuzzi, con il quale si aprì la linea Zelli Jacobuzzi; nelle persone di Biagio e Leopoldo, inoltre, la famiglia Z. venne reintegrata nel 1749 nella nobiltà viterbese.

Conservatore del popolo nella magistratura civica (1765), abbondanziere (dal 9 nov. 1766) con Gaetano Coretini, nella carestia verificatasi nel 1766-1767 Biagio rifornì di grano a proprie spese la città di Viterbo. Tra la sua prole vanno citati i padri Passionisti Michele (23 ago. 1753 – 15 giugno 1794), Vincenzo (n. 24 gen. 1756) e Giuseppe (n. 13 maggio 1750). Questi, già colonnello (1793) in un battaglione di truppa civica che aveva provveduto egli stesso a finanziare, mentre rivestiva la carica di governatore provvisorio (1798) riuscì a sedare una rivolta armata e a evitare il massacro di alcuni funzionari francesi; nello stesso anno fu comandante della Guardia Nazionale, ruolo cui rinunziò in favore del figlio Giulio (11 sett. 1773 – 8 ag. 1854) dopo un ricorso contro la presenza nello stesso battaglione di tre membri della famiglia Zelli (oltre a Giulio, vi militava altro figlio di Giuseppe, Alessandro).

Cavaliere dell’Ordine di S. Stefano e, come il padre, di Spada e Cappa, commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno e ciambellano del granduca di Toscana (dove, non condividendo gli ideali repubblicani, la famiglia era emigrata, facendo ritorno in patria dopo il ripristino del governo pontificio), Giulio esercitò in seguito a Viterbo il ruolo di sottoprefetto ( 1810) e di rettore del circondario del Cimino durante il governo napoleonico, e qui provvide alla raccolta di fondi da destinare alla ricostruzione della chiesa del convento di S. Maria del Paradiso insieme a Clemente da Farnese, che ne era guardiano. Consultore nel 1816, due anni dopo fu nominato presidente e amministratore del feudo camerale di Farnese, e nello stesso anno fu gonfaloniere, permanendo in questa carica fino al 1831, quindi colonnello della milizia civica.

Con la morte dell’unica figlia di Giulio, Giuseppa (20 luglio 1810 – 1 gen. 1849), il ramo Zelli Pazzaglia si estinse, mentre quello Zelli Jacobuzzi proseguì con i figli del già citato Leopoldo, tra cui: Francesco Maria (12 marzo 1761 – 4 luglio 1838), che nel 1814 in qualità di amministratore dei beni ecclesiastici della diocesi di Viterbo e Tuscania commissionò interventi di restauro nei monasteri dell’Assunta e della Visitazione, venendo in seguito nominato arcidiacono della cattedrale e provicario generale del vescovo A. G. Severoli (1819); Pietro Felice (21 marzo 1762 – 3 sett. 1801), anch’egli canonico della cattedrale, deceduto per essere stato travolto dalla macchina di Santa Rosa; Luigi (24 gen. 1767 – 23 dic. 1848), canonico della cattedrale e avvocato criminale, primo direttore (1812) della Biblioteca comunale; Paolo, in religione Gregorio, priore amministratore dell’abbazia di Farfa (1821), vescovo in partibus di Ippona ( 1824), amministratore e vicario apostolico di Osimo e Cingoli, poi vescovo di Assisi (1827) e di Ascoli (1832); Raffaele (Vetralla 20 ag. 1772 – Roma 19 giugno 1817), monaco cassinese, docente di filosofia a Ravenna, che soggiornò in seguito a Praglia, quindi nel monastero di S. Paolo a Roma, per trasferirsi poi a Zara, e fu autore del trattato Elementi di filosofìa metafìsica (Firenze, presso Domenico Ciardetti, 1804). Particolare menzione va inoltre fatta dell’abate benedettino Girolamo.

Arme: partito: nel 1° d’azzurro alla fascia d’oro accompagnata in capo da una stella dello stesso, ed in punta da due monti, ciascuno di tre cime, d’oro, ordinati in fascia. La seconda partizione variava in base al ramo della famiglia (Zelli Pazzaglia: d’azzurro alle due spade incrociate accostate da una stella di otto raggi in capo e da una rosa di rosso in punta).

BIBL. – Pinzi, IV, p. 62; Signorelli 1968, pp. 168-169; Spreti, VI, p. 1012; Angeli 2003, pp. 586-590, 908-910.

[Scheda di Marina Bucchi – Ibimus]