Calabresi – Famiglia (Viterbo, Secc. XVI-XIX)
Un documento del 12 agosto 1466 parla di un Giacomo “di Calabria”: da lui le prime tracce di una famiglia destinata ad un ruolo importante nella storia di Viterbo. Suo figlio Ippolito alias Calabrese era stimatore dell’Arte dei bifolchi e fa testamento nel 1527. Nel 1589 Giulio Calabresi fu Girolamo era rettore della Confraternita del Corpo di Cristo con sede nella cattedrale di San Lorenzo. Ancora figlio di Girolamo era Settimio che ebbe una discendenza diretta: abitava nel quartiere di San Faustino dove il figlio Cristoforo, nel 1622, risultava santese della Cappella di Ser Nuto nella chiesa di San Faustino e Giovita. Nel 1661 risultava creditore della Comunità di Viterbo per ben 1200 scudi per frumento fornito negli anni precedenti; e nel 1668 egli aveva il monopolio della vendita del “pan venale” per l’intera città di Viterbo. Nel 1676 la famiglia veniva iscritta al patriziato viterbese nella persona dello stesso Settimio che morì nel 1686 lasciando una notevole quantità di denaro ai suoi eredi. Tra questi era il figlio Settimio e lo zio paterno Marco Antonio dotato, quest’ultimo, di gran senso degli affari al punto che nel 1680 aveva in società la gestione dell’appalto della “gabella generale” e nel 1685 era nuovamente in gara per lo stesso appalto. A quella data aveva il monopolio dei forni che producevano il “pan venale” e tentava di assicurarsi anche il monopolio dei macelli e, insieme al fratello Salvatore, svolgevano la funzione di banchieri per artigiani e commercianti e non solo per Viterbo. Salvatore, Marco Antonio e Settimio sposarono tre sorelle di casa Rocchi. A quell’epoca i Calabresi avevano un’azienda agricola in località Asinello, il podere a Casa le Corne e un altro alle Bussete
I figli di Salvatore e Giulia Rocchi fecero matrimoni vantaggiosi che contribuirono ad elevare ulteriormente la famiglia. La figlia Francesca ad esempio sposò Bartolomeo Romanelli, figlio del pittore Giovan Francesco Romanelli. E il figlio Domenico era nel 1707 depositario del Monte di Pietà e nel 1710 era tra i Conservatori del popolo. Da Arrigo e Polinia Micheletti Carboni di Velletri nacquero Girolamo che divenne abate; Cristoforo che fu canonico della cattedrale di Viterbo; Teresa che sposò il conte Tommaso Fani; Cesare che nel 1730 era tra i Conservatori del popolo; Salvatore anche lui Conservatore del popolo e Maestro delle strade. Con questi personaggi si estinse la dinastia. Nel suo testamento dell’aprile 1795 Cesare Calabresi Micheletti lasciava beni ai suoi nipoti Lolli e ai suoi nipoti Fani ma la gran parte dei suoi beni finì ai figli di Giulio Filozzi che fu al suo servizio finché visse, con obbligo di assumere il cognome Calabresi.
Tra i figli di Giuseppe Filozzi Calabresi, figlio di Giulio, sposato con Maddalena Anselmi, soltanto Enrica continuò la dinastia sposando Clemente Capotondi di Sutri. Questa unione dette origine alla famiglia Capotondi Calabresi che ebbe breve durata. Il figlio Cesare morì a soli 32 anni lasciando il figlio Renato morto giovanissimo mentre la vedova Angela Bevilacqua passava a nuove nozze con il pittore Pietro Vanni. La maggior parte del patrimonio della famiglia fu devoluto all’Ospedale Grande di Viterbo che per un breve periodo assunse la denominazione del benefattore: “Renato Capotondi Calabresi”.
L’abitazione dei Calabresi era stata nel quartiere di San Faustino poi in Vicolo dell’archetto che cambiò denominazione in Via Calabresi. Avevano sepoltura nella chiesa della Trinità e a Sant’Ignazio, nella Cappella Calabresi.
BIBL. – N. Angeli, Famiglie viterbesi. Storia e cronaca. Genealogie e stemmi, Viterbo 2002, pp. 96-100