Pucitta – Famiglia (Viterbo,  secc. XV-XIX)

Famiglia fiorita nei secc. XV-XIX, e alla fine del Seicento diramata a Civitavecchia, divenendo ivi tra le principalissime della città nei secc. XVIII-XIX. Capostipite ne fu Lorenzo, documentato dal 1438. Fin dalle origini, i P. viterbe­si furono mercanti attivi nel commercio delle carni e negli appalti dei macelli; in seguito anche nel com­mercio delle spezie. Raggiunta in breve una notevo­le ricchezza, furono ascritti al patriziato della città nel 1506; dalla metà alla fine del sec. XVI alcuni P. ebbero cariche civiche (gonfaloniere, priore).

Nel corso del tempo la famiglia ebbe vari ecclesiastici (sacerdoti, canonici) e religiosi (domenicani, agosti­niani), con molte monache e qualche notaio, mentre la carriera militare non sembra essere stata da loro seguita, con l’unica eccezione di un Domenico, mi­litare a Montefiascone nel primo Seicento. Ebbero anche appalti finanziari, come nel caso del primo speziale della stirpe, Matteo, che oltre ad essere gonfaloniere del popolo a Viterbo (1556) tenne an­che l’appalto delle gabelle a Tuscania.

In corrispondenza al successo economico e sociale, la famiglia si suddivise nel corso del Cin­quecento in più rami, dimoranti in luoghi diversi del­la città, e ormai differenziati anche nelle attività: Va­lerio (secc. XVI-XVII) fu valente orefice, mentre Tul­lio (m. 1614) fu calzolaio. Nel Seicento i membri di maggior spicco furono due letterati, il notaio Lodo­vico (v.) e suo figlio Giovanni Domenico (v.). Men­tre fino ad allora la casa avita della famiglia era sta­ta presso il Macello Maggiore, dove tanti P. aveva­no esercitato l’appalto delle carni, nel 1666 Romolo acquistò la grande casa già Musacchi in piazza di S. Maria Nuova, rimasta in seguito la dimora principa­le dei P. viterbesi.

Alla fine del secolo uno dei suoi fi­gli, Francesco (v.), lasciò Viterbo per stabilirsi a Ci­vitavecchia, fondando il ramo più fortunato della fa­miglia; i P. rimasti a Viterbo infatti decaddero e non espressero più personalità di rilievo. Oltre che nella casa a S. Maria Nuova (in quella chiesa era la prin­cipale tomba di famiglia), i vari rami dei P. abitaro­no nelle parrocchie di S. Faustino, S. Giacomo e S. Giovanni in Zoccoli. A Viterbo i P. si estinsero ver­so la metà dell’Ottocento; ultima fu Rosa, morta pri­ma del 1869.  A Civitavecchia l’affermazione del­la famiglia, già pienamente avviata con Francesco, si confermò con suo figlio Romolo (v.), che fu conso­le di Spagna; alcuni P. della generazione successiva ebbero magistrature civiche e Carlo (n. 1727) fu te­soriere della Camera Apostolica.

Negli anni giaco­bini Clemente fu «senatore del Cimino» (1798) e all’inizio del secolo successivo suo figlio Biagio (n. 1780) fu guardia d’onore di Napoleone, ma lo stesso Clemente non perse terreno con la Restaurazione pontificia e nel 1818 era gonfaloniere della città. Ul­timo della stirpe fu il compositore Vincenzo (v.). Eb­bero palazzo presso la chiesa di S. Francesco (attua­le duomo) e sepoltura gentilizia nella chiesa di S. Maria della Morte.

Arme (certa per il ramo di Ci­vitavecchia, dubbia per quello di Viterbo): d’azzur­ro, al leone d’argento movente da un monte di tre cime, accompagnato in capo da una stella d’oro. In un’edizione viterbese del 1632 dedicata a Baldas­sarre P. compare un diverso stemma; un altro anco­ra nel testamento di Sebastiano P. (1784).

BIBL. – Vitalini Sacconi 1982, II, pp. 43, 260, 314-315 (con albero genealogico dei P. di Civitavecchia); Angeli 2003, pp. 432-434, 827-832 (con compiute notizie sulla famiglia e completo albero genealogico sia dei P. viterbesi, sia di quel­li civitavecchiesi, con divergenze rispetto a quello di Vitali­ni Sacconi).

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus]