Santuario di S. Rosa a Viterbo

Contemporaneamente alla edificazione della chiesa e del convento di S. Francesco, nel 1235, Gregorio IX favoriva l’istituzione a Viterbo di un monastero con annesso oratorio per le recluse dell’ordine fondato da S. Chiara. Per il nuovo edificio si scelse un angolo remoto presso le mura della città nel rione di S. Marco e venne intitolato a S. Maria.

Due anni prima, nel vicino quartiere del poggio, era nata una bambina che, di li a poco, avrebbe dato il proprio nome al convento e alla piccola chiesa originariamente dedicata alla Madonna. Una leggenda narra che Rosa, prossima a morire, avesse chiesto ricovero nel monastero delle clarisse e che le fosse stato rifiutato. Dopo la minaccia, da parte di un sacerdote zelante, di fondare, presso quello di S. Chiara, un altro monastero di terziarie intitolato a S. Rosa, le monache accettarono di accogliere la venerata salma che, nel 1258, per volontà di Alessandro IV venne trasportata nel convento.

Il pontefice, in questi anni, era impegnato nel confronto con Federico II. La ribellione e resistenza della città di Viterbo all’imperatore, nella quale Rosa può aver avuto influenza non indifferente, fu un aspetto che, per quanto rilevante nella storia della città, ebbe scarso peso nello svolgimento della lotta tra Chiesa e Impero, lo ebbe però nel riconoscimento e la stabilizzazione del culto della Santa; Il papa infatti permise al clero e al popolo la celebrazione della festa il 4 settembre  e riconobbe il giorno della solennità religiosa il 6 marzo (ricorrenza della morte della vergine viterbese).

Con il giubileo del 1450 si accrebbe il fervore religioso scatenato dalla contemplazione del corpo immacolato, risparmiato dal dissolvimento che segue la morte e scampato al disastroso incendio del secolo precedente; le preci, le invocazioni e le numerose elemosine, avevano dato adito ad un conflitto fra il Comune e le monache che riuscirono ad utilizzare quei fondi per rendere più appariscente all’interno e più decorato all’esterno il Santuario. Nel 1456 Callisto III, in seguito alle suppliche del clero e del popolo viterbese, riprese ed espletò il processo di canonizzazione relativo a S. Rosa.

Nel 1632 venne approvata la delibera per la demolizione della chiesa ormai troppo angusta per ospitare l’enorme quantità di fedeli che visitavano il corpo della santa. La ricostruzione dell’edificio venne conclusa soltanto nel 1646, anno in cui il card. Brancaccio constatava il cattivo stato di conservazione degli affreschi di Benozzo Gozzoli rappresentati sulle pareti della chiesa e ne ordinava il restauro. Ancora nel XVII secolo le monache fecero ricostruire una nuova cappella per riporvi il corpo della Santa, mentre nel 1731 alcuni devoti cittadini fecero istanza al Comune per un contributo da dedicare alla costruzione di un nuovo tempio. Non fu possibile, però, raccogliere la somma necessaria all’esecuzione dei lavori ed il santuario venne soltanto ampliato.

Nel 1846, a seguito della volontà espressa anni prima dal vescovo Gaspare Bernardo Pianetti, venne costruita una nuova chiesa, che fu consacrata nel 1850. Il nuovo fabbricato non soddisfaceva la cittadinanza e costrinse il Comune a rivolgersi all’architetto Vespignani perché facesse un nuovo progetto (1863).

In epoca più recente il nome di Pio X è legato a quello di S. Rosa: egli infatti, nel 1914, proclamò Rosa Compatrona principale della città di Viterbo, al quale si unì il riconoscimento da parte di Benedetto XV che nominò la Santa compatrona della Gioventù cattolica Femminile, insieme a S. Agnese ed a S. Giovanna d’Arco. Nel 1926, grazie all’interesse del card viterbese Pietro La Fontaine, allora Patriarca di Venezia, l’intero complesso venne dichiarato monumento nazionale.

Tra le principali opere d’arte conservate nel santuario è un bel polittico, dipinto da Balletta, che decora uno degli altari della chiesa. L’opera, datata 1441, raffigura la Madonna in trono col Bambino tra S. Rosa e S. Caterina d’Alessandria. Tra i lavori commissionati grazie al ricavato del giubileo del 1450, a Benozzo Gozzoli fu affidato l’incarico di raffigurare, sulle pareti della chiesa, le gesta della santa. Le pregevoli opere andarono distrutte in conseguenza agli ulteriori lavori di rifacimento intrapresi nel XVII secolo. Ne rimangono nove copie (disegni acquerellati) del pittore orvietano Francesco Sabatini (1632), realizzati per volere dell’allora vescovo Muti e custoditi nel museo civico di Viterbo. Rilevante anche il quadro di Giovan Francesco Romanelli, donato dall’autore alla chiesa nel 1658, rappresentante S. Rosa genuflessa nell’atto di chiedere a Dio la liberazione della città dalla peste. Oggi, il posto della tela del Romanelli è occupato da un quadro rappresentante Santa Rosa circondata da angeli che l’accompagnano in cielo su un paesaggio di Viterbo, opera di Francesco Podesti di Ancona (1812-1855). Per quel che riguarda l’arca che anticamente conteneva il corpo di santa Rosa, forse quella costruita grazie ad Angelo Tavernini nel 1357, o forse un’altra, sappiamo che, alla metà del XV secolo, fu miniata e dorata da Francesco d’Antonio detto il Balletta, mentre l’urna che oggi contiene il corpo della Santa risale al 1699 e sostituisce le due precedenti in legno una delle quali è conservata nella casa di S. Rosa. Tra le sepolture da ricordare il Conte Mari Fani fondatore della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (1845 – 1869), Giuseppe Signorelli, presidente Ispettore del Catasto Pontificio (1865), ed il vescovo Adelchi Albanesi (1883 – 1970).

BIBL. e FONTI – Aliperti F., Blanco B., Serone G., Santa Rosa da Viterbo, storia culto tradizione, Acireale, Galatea editrice, 2009; Egidi V. M., Santa Rosa da Viterbo e i papi, In: VII centenario della nascita di santa Rosa (1235 – 1935), a cura del comitato generale per i festeggiamenti del VII centenario, pp. 24-25; Le chiese di Viterbo, a cura di A. Carosi, Viterbo, Agnesotti, 1995, scheda sulla Chiesa di Santa Rosa; Osbat L., La devozione a Santa Rosa e le visite episcopali e i sinodi di Viterbo del XVI e XVII secolo, in: S. Rosa: Tradizione e culto, Atti della seconda giornata di studio, 10 settembre 1999, “La città, La macchina, Il rito, I nuovi supporti”, Manziana, Vecchiarelli, 2000; Pinzi C., I principali monumenti di Viterbo, Guida pel visitatore, Viterbo, Agnesotti, 1916; Signorelli G., II tempio di S. Rosa, In: “Bollettino Municipale Comune di Viterbo”, Anno VII, febbraio 1934.

[Elisa Angelone – Cersal]